La ,marcia delle invisibili
Lavoratrici domestiche in tutto il mondo chiedono di essere riconosciute come impiegate con contratti regolari. La loro voce sta diventando più forte, grazie alle reti globali tra attiviste, le loro organizzazioni e progetti di ricerca.
Le lavoratrici domestiche si trovano proprio nel centro della trasformazione globale che sta mettendo sottosopra il nostro mondo. Più lo stato sociale si ritira più abbiamo bisogno di persone che si occupino dei nostri figli, degli anziani e dei malati. Loro erano i primi “gig workers”, precarie, in gran parte migranti e nascoste nelle case. Esistevano molto prima del lavoro precario digitalizzato e hanno già tanti anni di lotta sulle spalle – contro la loro invisibilità e la totale mancanza di diritti. Durante la pandemia di Covid 19 sono state tra le categorie più duramente colpite sul piano lavorativo e privato. Ma nonostante ciò hanno vinto alcune battaglie importanti negli ultimi dieci anni.
Nel 2011 il movimento riceveva una forte spinta dalla Convenzione No. 189 del ILO (International Labour Organization) che riconosce le lavoratrici domestiche come regolari impiegate. Alcune di loro partecipavano alle trattative. L’anno dopo formavano l’International Domestic Workers Federation (IDWF) che oggi conta più di 590 000 membri in 63 paesi. La maggior parte sono organizzati in associazioni, cooperative e sindacati. La Presidente è Myrtle Witbooi, attivista sudafricana ed ex “housemaid” anche lei. “Ma nel 1967 ho scoperto il mio talento di parlare davanti ad altri e di rappresentare altre persone che ne hanno bisogno e da allora non mi sono più fermata”, dice.
UN FORUM PER LE DONNE DI TUTTO IL MONDO
“E’ un pregiudizio molto diffuso che le lavoratrici domestiche non possono essere organizzate”, spiega Sabrina Marchetti, coordinatrice del programma europeo di ricerca DomEqual e professoressa associata di Sociologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Il progetto per il momento è terminato ma gli incontri che hanno organizzato Marchetti e la sua squadra sono diventati un forum per donne e le loro organizzazioni in tutto il mondo. Per tante di loro la vita è un inferno – non solo nelle ville dei super ricchi da Montecarlo al Messico, ma anche nelle case tristi di anziani europei dove spesso devono lavorare giorno e notte per una misera paga. Loro sono la mano invisibile che sistema la casa. Puliscono, cucinano, fanno crescere i bambini di altri e si occupano dei loro anziani genitori – mentre le loro stesse famiglie vivono a migliaia di chilometri.
Secondo le stime dell’ILO più di 75 millioni di persone in tutto il mondo si guadagnano la vita come “domestic worker”, 76,2 percento sono donne. Ed ognuna di loro ha una storia da raccontare. L’attivista americana Ai-jen Poo ne ha sentito centinaia. Da 25 anni si sta impegnando per la causa delle lavoratrice domestiche. “Da studentessa sono rimasta molto impressionata dall’esercito silenzioso di donne non bianche che portavano bambini a spasso per Manhattan che ovviamente non erano i loro”, dice. Nonostante i lunghi orari di lavoro e la paura di rappresaglie sempre più donne cominciavano ad incontrarsi in piccoli gruppi e alla fine si è formata una communità. Poi nel 2007 è nata la National Domestic Workers Alliance (NDWA).
Questo per Aj-jen Poo significa proprio una grande vittoria. “Noi siamo le uniche negli Stati Unitit ad organizzare donne lavoratrici povere”, spiega. Poo è convinta che non saranno solo loro ad approfittare di questa lotta ma tutti quelli che si trovano nel mondo nuovo del lavoro precario. “Questa battaglia è per noi ma anche per il futuro del lavoro di tutti.”
Michaela Namuth