La bataglia delle donne nel mondo contro le violenze

Incontro online organizato da AMMPE World

In occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne istituita dalle Nazioni Unite, AMMPE World ha organizzato il 25 novembre un incontro online con esperte di tutto il mondo impegnate contro i tanti tipi di violenza subiti dalle donne.

E il titolo era “Non solo botte”, perché le donne non solo possono essere vittime di abusi fisici, anche di femminicidio, ma che spesso subiscono subdole violenze psicologiche, minacce, estorsioni, abusi sessuali, sia in ambito familiare che sul posto di lavoro. Maltrattamenti e femminicidi sono aumentati in tutto il mondo in questo periodo di pandemia. In Italia, secondo i dati ufficiali, alla fine di ottobre 2021 sono stati commessi 109 femminicidi, l’8% in più rispetto al 2020.

L’incontro è stato moderato dalla Presidente di AMMPE World, Patricia Mayorga, che ha spiegato che i femminicidi «sono solo la punta estrema dell’iceberg del dramma della violenza sulle donne che si vive in tutto il mondo».

Cinque donne di diverse organizzazioni internazionali impegnate nella lotta contro questa violenza hanno condiviso le loro esperienze. Ha anche fatto un significativo saluto Beatrice Tassara, Assessore alle Pari Opportunità del Comune italiano di Santa María Ligure, città dove si è tenuto lo scorso agosto l’incontro sulle donne del G20.

LA DEMOCRAZIA PARITARIA E LA LOTTA AI MATRIMONI FORZATI

Per Daniela Carla’, promotrice della rete «Noi rete donne» il cui focus è “donne e potere e democrazia paritaria”, dietro ad ogni episodio di violenza c’è un «comune denominatore, costituito dall’incapacità dei maschi fragili a confrontarsi con l’esercizio concreto della libertà femminile”. Ha sottolineato come anche dietro a tutti i tipi di violenza non sia difficile “cogliere una deriva di tipo patriarcale”.

Nella sua opinione è fondamentale “far comprendere anche alle istituzioni che la matrice della violenza è nel patriarcato”. Ha anche ricordato che, oltre al bisogno di un coordinamento efficace dalle istituzione per contrastare la violenza, bisogna riconoscere “anche le forme subdole di violenza molto pericolose, in quanto non solo la violenza fisica va contrastata, ma soprattutto quando si tratta del rapporto donna e potere pesano molto anche forme magari meno aggressive ricondotte anche alle molestie che svela le gerarchie di potere che si annidano nel mondo del lavoro”.

Quindi, è fondamentale andare in fondo al rapporto donna e potere che permetteranno incoraggiare alcuni cambiamenti culturali e mentali «dove la violenza ha origine».

Fernanda Gallo, Direttrice Internazionale di Zonta, organizzazione nata negli Stati Uniti nel 1919, e il cui scopo è quello di elevare la figura femminile a livello giuridico, politico, economico e professionale ha spiegato il suo progetto simbolo: la lotta ai matrimoni precoci e forzati, progetto nel quale Zonta è l’unico referente privato che collabora con l’Unicef.

Il problema è tutt’altro che secondario nel senso che una ragazza su cinque nel mondo è costretta ad sposarsi prima dei 18 anni, il che significa circa 12 milioni di ragazze all’anno. Ha ricordato che tra il 2014 e il 2018 lo sforzo si è concreato soprattutto in Niger per poi allargarsi ad altri 12 paesi, tra cui Burkina Faso ed Etiopia. Un fatto preoccupante è che questi matrimoni precoci non si svolgono soltanto in paesi lontani, ma anche in Europa e nonostante ci siano leggi specifiche in questo senso; le ragioni alla base di questo terribile fenomeno variano da comunità a comunità ma comunque si rifanno a dei fattori socioculturali, anche se il problema principale riguarda la situazione economica.

La pandemia ha aggravato questa situazione. Secondo Zonta, ci sono almeno 10 milioni di bambine in più di prima a rischio di non tornare più a scuola, quindi a rischio di essere vendute. Ma in questo quadro cupo ci sono anche notizie positive: nel 2020, quattro milioni di ragazze hanno partecipato ai programmi di informazione, 160 mila si sono iscritte e sono stati aiutate a rimanere a scuola. Allo stesso tempo ci sono state 6 milioni tra ragazze e ragazzi che hanno partecipato in dialoghi su questi problemi e attualmente Zonta ha 1100 centri di ascolto e di segnalazione di casi dove è urgente intervenire per salvare le ragazze da questa pratica.

INFORMAZIONE E AUTONOMIA ECONOMICA

La giornalista Alba Kepi, corrispondente in Italia della televisione albanese RTV, ha presentato una panoramica della situazione nel suo Paese, dove «molte donne non sanno nemmeno come denunciare la violenza», fatto abbastanza comune nel resto dei paesi balcanici . «La mentalità balcanica è molto maschilista e il matrimonio di ragazze minorenni è molto comune», quindi è necessario «offrire maggiori informazioni», in modo che le persone possano denunciare e allo stesso tempo che l’opinione pubblica scopra cosa sta succedendo.

Marcia Scantlebury, giornalista cilena pluripremiata (Premio Lenka Franulic in Cile, StandoutWomanAward a Roma) ha fatto riferimento a «realtà di routine e silenziose che non occupano le pagine della stampa scritta o degli schermi televisivi». Sono quelle legate al lavoro di cura (lavoratori domestici, parenti, badanti per gli anziani) «che viene svolto il più delle volte senza compenso monetario».

È un lavoro che comporta costi molto alti per chi lo svolge, in genere le donne, ha ricordato, «in termini di tempo, qualità della vita, salute e opportunità». Questo modello in Cile, come in altri Paesi, accetta l’idea che “dobbiamo per forza sapere destreggiarci per conciliare vita familiare e vita lavorativa”, una situazione di violenza senza precedenti, “che limita l’autonomia e taglia le ali ai sogni delle donne”. E questo fa sì che «abbiamo meno tempo a disposizione per l’istruzione, il tempo libero, la partecipazione politica e il lavoro retribuito».

INSIEME CON LE DONNE DELLA BIRMANIA

Cecilia Brighi, Segretaria Generale dell’Associazione “Italia-Birmania insieme”, ha ricordato che la dittatura in quel Paese è durata più di 50 anni, interrotta da 10 anni di democrazia fino a febbraio di quest’anno quando un altro colpo di stato ha ripristinato la dittatura. Ad aprile, l’opposizione ha creato un governo di unità nazionale dichiarato illegale dalla dittatura, ma che continua a esistere.

In questi 10 mesi di dittatura e dopo aver vissuto i 10 anni di democrazia, le donne birmane sono diventate le protagoniste della cosiddetta “rivoluzione di primavera” che sta cercando di realizzare profondi cambiamenti nella vita sociale e culturale. Ha

ricordato che durante la dittatura le donne venivano usate come armi da guerra, molte furono rapite e portate in Cina per matrimoni forzati, altre, soprattutto minorenni, furono rapite e mandate quasi come schiave a Singapore e in Malesia dove subirono anche abusi sessuali.

Comunque, qualsiasi tipo di repressione di questi tempi “non riuscirà a cancellare tutto questo fardello di cambiamento e partecipazione delle donne che si è costruito in questi 50 anni di dittatura. È un cambiamento profondo che va aiutato a crescere”, ha concluso Brighi.

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