Relazione Patricia Mayorga al XXIV congresso mondiale AMMPE

Roma, dal 14 al 17 settembre 2022

 

Cari amiche, amici, colleghe, colleghi, autorità universitarie e istituzionali

Ringrazio innanzitutto il Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma 3, Prof. Daniele Fiorentino, per la possibilità di poter tenere questo evento nei prestigiosi locali di questa casa di studi superiori, un evento che non sarebbe stato possibili senza il supporto della Professoressa Maria Rosaria Stabile, già vicerettore di questo Ateneo che oggi non può essere qui perché partecipa al Congresso Nazionale della Società Italiana di Storia Contemporanea, a Matera, ma che è più che degnamente rappresentato dalla prof.ssa Laura Fotia.

Mariana Diaz mi ha già preceduto ringraziando tutti i partner e gli sponsor, quindi non mi dilungo su questo, se non per ribadire che senza questo supporto non sarebbe stato possibile organizzare questo Congresso.

Secondo i nostri Statuti, il mandato è biennale e il periodo termina con un Congresso Mondiale nel paese di residenza della Presidente. Pertanto, il Congresso successivo, il ventiquattresimo, avrebbe dovuto tenersi a Roma nel 2020, ma per ragioni di forza maggiore, e quali ragioni! Una pandemia globale siamo state costrette a rimandarlo.

“Le sfide della comunicazione a livello planetario” era il titolo generico poiché in una società globalizzata e il conseguente scenario in cui dobbiamo operare, anche se con sfumature diverse e specifiche a seconda di dove siamo, ci impone di dare risposte globali ai problemi che ci toccano allo stesso modo, al di là della regione in cui dobbiamo esercitare la nostra professione.

Quando ho scritto questa frase, a metà del 2019 dopo aver accettato questa carica, non avrei mai immaginato – come nessun altro – che in pochi mesi le nostre vite sarebbero cambiate radicalmente, che una minaccia globale aleggiasse sulle nostre teste: il virus chiamato Covid 19, il che ci farebbe ripensare a molte delle nostre certezze. Poi, quando molto lentamente stavamo cominciando ad emergere dalla palude, una guerra bussa alle porte dell’Europa comunitaria, per non parlare delle tensioni in Estremo Oriente.

Ho volutamente lasciato il cambiamento climatico all’ultimo posto, non perché sia ​​meno importante, ma proprio al contrario. Perché è ciò che più ci condiziona di fronte alla quasi totale indifferenza planetaria, tranne quando le piogge, gli uragani, le valanghe, gli incendi (non sempre casuali) ci colpiscono direttamente. Poi l’emergenza passa e la notizia dell’imperativa necessità di variare il percorso in termini di clima si sposta dalla prima pagina a poche righe interne.

Tuttavia, come sta dimostrando la pandemia, la crisi climatica, le tensioni internazionali sono fenomeni globali che dimostrano che siamo legate e legati non solo a un mondo condiviso, ma interdipendente.

Tornando alle ragioni che ci hanno costretto a posticipare la data, dopo un iniziale momento di smarrimento, abbiamo potuto vincere la sfida del confinamento globale e coordinare il supporto necessario per continuare a svolgere le nostre attività istituzionali attraverso le diverse piattaforme digitali a disposizione.

Il contributo e la solidarietà così tipici delle nostre socie, sono stati messi a disposizione di questa Presidenza per continuare le nostre attività e dimostrare che anche le difficoltà sono uno stimolo. Consentitemi qui di fare una digressione: ci sono molte colleghe che hanno partecipato attivamente alla preparazione di questo Congresso in vari modi e che ora non sono qui per vari motivi. Saluto in modo particolare Verónica López, Presidente dell’Associazione cilena, e tutte le colleghe che in un modo o nell’altro ci hanno sostenuto. Non le nomino per ragioni di tempo, ma sul nostro sito verrà specificato chi sono.

(Mi riferisco a Laura Reyes, Isabel Seguel, Milly Miranda, Francesca Biliotti, Michaela Namuth, Gabriela Toro, Pierina González, Liliana Bonfiglio, Susana Clavarino, Alessandra Ianello, Anna Schiavoi, prima partner benefattrice, Patricia Ríos, anche benefattrice, Antonio Perretti, Paolo Tagliaferri, benefattori, il professor Nicola de Blasi, membro della prestigiosa Academia de la Crusca, e Trisha Thomas, che hanno tradotto le mie parole dalla lingua di Cervantes, rispettivamente a quella di Dante e di Shakespeare. E soprattutto, alla nostra socia più giovane, Maria Chiara Petrassi che ci ha dato tutto il suo slancio giovanile per quanto riguarda i Social Network e che in questo Congresso sta no solo monitorando l’importante settore tecnologico, ma anche curando i dettagli piccoli, e meno piccoli).

Tornando al nostro lavoro di questi 4 anni, con relatori di primo livello, abbiamo fatto incontri su temi che ci coinvolgono direttamente, come il sessismo nei media, o il ciberbullismo, intensificato durante la pandemia.

Abbiamo anche portato la voce dell’AMMPE in vari forum internazionali, l’ultimo dei quali lo scorso novembre a Barcellona, ​​​​un interessante confronto femminista sul giornalismo da entrambe le sponde del Mediterraneo. Oppure in «Aspettando le donne del G-20», evento organizzato in Italia dal comune di Santa Margherita Ligure in occasione del vertice dei leader mondiali, la cui versione ufficiale si è conclusa quest’anno con una «fotografia di famiglia» in cui non appare nemmeno una donna, dopo il ritiro di Angela Merkel. Il che indica che anche la strada verso la parità è lunga…e oserei dire ancora piuttosto ripida.

Insieme e dai nostri schermi di tutto il mondo, ci siamo rallegrate e congratulate con la nostra collega filippina Maria Ressa per il suo più che meritato Premio Nobel per la Pace, e abbiamo denunciato ed espresso la nostra solidarietà alle colleghe che sono state attaccate ovunque, come Lucia Goracci , inviato della RAI italiana rapita e picchiata da una senatrice No Vax in Romania; o Jenny Pérez, violentemente aggredita e persino minacciata di morte dai seguaci del leader politico di estrema destra cileno José Antonio Kast a seguito di un’intervista per la rete tedesca DW dove lavora.

Non si può dire che questi due anni siano stati privi di alti e bassi, tanto più che in certi momenti l’unica certezza era l’incertezza. Ma eccoci disposte in questi tre giorni ad ascoltare voci diverse, a volte in contrasto con quelle che sono le nostre certezze, la nostra verità. Ed ecco il ruolo di noi comunicatrici da tutto il mondo: la necessità di dire la verità attraverso la nostra narrazione, verità che, ovviamente, va di pari passo con la possibilità che abbiamo di esprimerla, cioè con la libertà di stampa.

So che qui sto andando in un terreno difficile, perché la verità è una parola chiave della filosofia e un tema che è cambiato nel tempo, così come la libertà. Molte domande vengono sollevate in relazione alla verità. Qual è la verità? C’è una sola verità o ce ne sono molte? E se questa verità esiste, possiamo conoscerla davvero o semplicemente cercarla senza mai poter dire di averla trovata?

Non farò un giro di questo concetto partendo dai primi filosofi dell’antichità che iniziarono a discutere del processo della conoscenza come Eraclito o Parmenide, ma farò un salto di ben due  millenni, per arrivare al tema che più ci coinvolge in questi tempi come comunicatrici e comunicatori: la post-verità.

Secondo la Real Academia Spagnola, il termine post-verità sarebbe una deliberata distorsione di una realtà che manipola credenze ed emozioni al fine di influenzare l’opinione pubblica e gli atteggiamenti sociali. Secondo questa definizione: “I demagoghi sono maestri della post-verità”.

Poi, secondo il dizionario Oxford, è il fenomeno che si verifica quando «i fatti oggettivi hanno meno influenza nella definizione dell’opinione pubblica rispetto a quelli che fanno appello alle emozioni e alle convinzioni personali». Quando sono arrivata in Italia, mi è stato difficile afferrare il concetto di «mente sapendo di mentire»: non sto dicendo che la post-verità sia di per sé affermare concetti lontani dalla verità, anche se c’è anche molto di ciò, ma manipolando piuttosto efficacemente le convinzioni, le emozioni, e soprattutto le insicurezze e le paure per ottenere un certo fine: cioè non viene messo in discussione il fatto specifico, ma le conseguenze che un determinato fatto potrebbe generare.

Gli esempi sono molteplici e coprono l’intera geografia planetaria, per questo motivo è un argomento su cui comunicatrici e comunicatori di tutto il mondo non possono smettere di riflettere. Stiamo appena uscendo, con passi brevissimi e molto cauti, dalla pandemia che ci ha colpito senza distinzioni di sesso, razza, religione, con l’unica eccezione che, come sempre, i settori più diseredati e vulnerabili sono stati i più colpiti.

Durante questo periodo drammatico, parole come Covid, virus, pandemia, droga hanno iniziato a occupare la maggior parte se non tutto lo spazio mediatico. Lascio per ultima, non perché sia ​​meno importante, ma perché è quella che più ha condizionato e diviso, la parola “vaccino”, da cui si è diffuso ampiamente il concetto di post-verità.

Indubbiamente ci sono persone per le quali la LORO verità è che i vaccini producono effetti collaterali molto gravi, e mi riferisco ai connotati seri di questo rifiuto, non ad esempio a quella «verità» che afferma che ci stanno iniettando un chip per spiarci durante le 24 ore. Gli esempi di post-verità, concetto apparso per la prima volta all’inizio degli anni Novanta, potrebbero essere molteplici e coprire vari ambiti della nostra vita, forse il più delicato è quello legato alla politica, a cui mi riferirò senza però entrare nei dettagli.

Sebbene la manipolazione della verità in politica non sia una novità, i leader politici, i loro portavoce e i loro gruppi di influenza, nello sforzo di connettersi emotivamente con i cittadini e convincerli a condizionare le loro decisioni, hanno dimostrato che la verità non è più in competizione con la menzogna , ma con altre ipotetiche verità. Ora, la costruzione del discorso politico post-verità è stata rafforzata da un altro fenomeno in crescita che si è sviluppato negli ultimi anni: le bufale, le fake news.

Uno dei più importanti intellettuali in Italia, Umberto Eco ha dedicato i suoi ultimi anni (è scomparso nel 2016) alla necessità di riscoprire la verità per stabilire un’etica dell’informazione. Una sua frase che ha fatto molto scalpore è stata: «Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano solo al bar e subito venivano messi a tacere»

Sorge una domanda logica. Cosa possiamo fare noi che lavoriamo in diverse aree dell’universo comunicativo per cercare di affrontare con successo il problema della post-verità, e soprattutto per  essere credibili? Non credo infatti di esagerare se dico che questo è un periodo molto difficile per la nostra professione in termini di credibilità.

Certo non ci sono risposte univoche, ma credo che il dovere principale di tutti, comunicatrici e comunicatori sia il rigore della nostra narrazione, al di là del campo politico culturale in cui operiamo.

In questi tre giorni di intenso lavoro parleremo di questioni fondamentali della società, che riguardano direttamente in un modo o nell’altro la nostra vita di esseri umani, di cittadini, cioè di abitanti di questo pianeta.

Ci scambieremo informazioni sulle migrazioni in varie parti del pianeta, con tutto il suo carico di dolore e dramma, sui progressi o battute d’arresto che si notano nella libertà di stampa, soprattutto dopo l’era digitale, sui diritti umani, soprattutto di fronte della situazione delle donne dopo la pandemia, l’ambiente e il cambiamento climatico, Internet e i social network: i loro pro e contro, le disparità di genere, gli stereotipi e il linguaggio sessista nel mondo della comunicazione. E per non  sottolineare soltanto i drammi dell’universo femminile, si parlerà anche della grande creatività delle donne con giornaliste, imprenditrici di vari settori, registe.

Sono stati quattro anni difficili ma senza ombra di dubbio molto interessanti. Probabilmente avremmo potuto pensare a molte altre cose in questi anni. Le faremo perché continuiamo ad andare avanti e, come scrisse il grande poeta sivigliano Antonio Machado….il cammino si fa camminando.

Grazie mille

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